Ottobre 2022
LE INQUIETUDINI
DEL TEMPO
Una installazione polimaterica
di Nino Tricarico
La
mia
inquietudine
di
oggi,
quella
che
vivo
in
questo
tempo
“scombinato”,
è
come
quella
di
Van
Gogh,
che
s’interrogava
sul
significato
dell’esistenza
dell’uomo
nel
mondo
e
si
poneva,
naturalmente,
dalla
parte
delle
vittime:
lavoratori
sfruttati,
contadini
ai
quali
l’industria
aveva
rimosso
il
sentimento
etico
e
religioso
del
lavoro
della
terra.
Aveva
sostenuto
con
passione
le
proteste
dei
minatori,
la
rivolta
dei
contadini
mangiatori
di
patate.
La
sua
rivolta
è
tutta
nella
pittura
che
non
ha
il
potere
di
cambiare
il
mondo
e
che
l’artista
paga
con
il
manicomio
e
il
suicidio.
La
mia
è
apparentemente
più
discreta,
si
legge
meno
sul
volto
o
nei
gesti,
mi
impedisce
di
vivere
una
vita
normale,
sorridente,
ma
non
mi
toglie
la
speranza,
la
convinzione
che
l’arte
possa
scuotere
le
coscienze
e
modificare
il
mondo,
riaffermare
il
ruolo
dell’artista/uomo nell’attraversamento del suo tempo.
C’è
un
fronte
dal
quale
arrivano
Cartoline
e
lettere,
caratterizzato
da
due
tipologie,
una
esterna,
dove
si
sommano
stati
di
emergenza
continui
–
pandemia,
guerra,
terremoti
mutamenti
climatici
–
e
un
fronte
interno,
quello
dentro
di
noi,
dove
cresce
l’inquietudine
per
un
futuro
non
più
ricco
di
promesse, ma teso a delineare sempre nuove minacce.
È
da
questa
duplice
linea
di
combattimento
che
arrivano
le
cartoline,
le
lettere
dal
fronte
Sono
missive
cariche
di
segni
enigmatici:
chiazze
di
colore
dalle
forme
inquietanti,
fantasmi
cromatici, presenze/assenze spettrali.
Altri
segni,
più
espliciti
e
riconoscibili,
paiono
epifanie
di
volti,
sagome
di
corpi
scomposti,
o
frammenti
di
scritture
scarabocchiate
in
una
tregua
della
battaglia:
caratteri
appena
accennati
che
lasciano
spazio
all’interpretazione
del
destinatario.
Memorie
indirizzate
a
chi
è
rimasto,
e
scruta
nelle
teche
che
raccolgono
anonimi
reperti
alla
ricerca
ansiosa
di
un
messaggio, una traccia di vita.
La
bicromia
rosso/nero,
cui
si
aggiunge
talvolta
un
tocco
di
bordeaux,
senza
altre
concessioni
al
colore.
Sangue
sparso,
rappreso
sull’asfalto,
unghie
smaltate
di
rosso
che
si
mescolano
al fango.
La
precarietà
del
materiale
usato,
il
suo
essere
spiegazzato,
stropicciato,
si
addice
ancora
di
più
alla
tematica
e
ne
amplifica
la carica evocativa.
Festoni
di
carta
scottex
e
fotografica.
Supporti
poveri,
provvisori
con
finta
scrittura
come
ideogrammi
che
parlano
di
eventi
dolorosi,
della
contemporaneità,
del
tempo.
Nel
loro
susseguirsi
raccontano
il
conflitto,
la
mancanza
di
tregua
all’interno
e
all’esterno
dell’uomo.
Mettono
in
risalto
la
fragilità
e
la
frammentarietà
dell’esistenza,
ma
anche
il
desiderio
di
restare
attaccati alla vita.
Altri
materiali
utilizzati,
pannelli
di
polistirolo
e
sculture
piane
di
acciaio
inossidabile
su
cui
le
cartoline
restano
“aggrappate”,
rappresentano
l’inquietudine,
il
dramma
collettivo
e
individuale
sublimato dalla leggerezza, dal balsamo dell’arte.
Sono
cartoline
destinate
a
tutti
noi
che,
in
questi
tempi
di
precarietà,
aspettiamo
notizie
dal
fronte,
sgomenti
per
le
molteplici
forme
assunte
dal
male,
soggetti
a
condizioni
estreme
che lanciano una sfida ai limiti biologici.
Noi
che
non
ci
arrendiamo,
continuiamo
a
lottare,
tenacemente
legati ad un filo di speranza.
Brani dall’installazione