Aprile 2022
DOLCE DORMIRE
di Carlo Catiri
Ricordo
molto
bene
la
primavera
dell’ottantasei
ed
in
particolare
i
giorni
di
quel
fine
aprile,
che
divennero
così
importanti
a
causa
della
sciagurata
esplosione
di
un
reattore
della
centrale
atomica
di
Cernobil
in
Ucraina.
La
tragedia
inizialmente
a
me
sembrò
distante
e
lontana,
accaduta
in
un
paese
che
di
preciso
non
sapevo
proprio
dove
fosse.
Nel
mio
immaginario
giovanile
era
un
luogo
disperso
nel
grande
e
sterminato
territorio
russo.
Solo
qualche
giorno
più
tardi,
a
causa
di
venti
che
soffiarono
imprevedibili
nell’atmosfera
e
che
spinsero
le
radiazioni
prima
verso
nord
e
successivamente
anche
verso
di
noi
in
Italia,
cominciai a capire.
Ecco
allora
che
all’improvviso
anche
i
nostri
giornali
e
la
televisione
ne
cominciarono
a
parlare
insistentemente
e
tutti
noi
dovemmo
prendere
atto della gravità dell’accaduto.
L’Europa
intera
cadde
nello
sconcerto
e
da
quel
momento nulla fu più come prima.
Si
iniziò
così
a
discutere
sulla
pericolosità
dell’energia
nucleare
e
si
sviluppò
un
acceso
dibattito
sulle
conseguenze
infinite
che
disgrazie
come
quelle
appena
accadute
a
Cernobil
avrebbero
potuto
arrecare
all’umanità
intera
coinvolgendo
inoltre
le
generazioni
a
venire,
che
non
avrebbero
potuto
fare
altro
che
subire
inermi
gli
effetti
contaminanti
delle
scorie
radioattive
e
convivere
con
le
nefaste
conseguenze
di
tali
incidenti
che
provocano
nella
natura
e
nell’uomo
danni irreversibili.
In
Ucraina,
allora
URSS,
i
tecnici
della
centrale
e
la
gente
che
viveva
nei
paesi
vicini
morì
per
effetto
delle
radiazioni
ed
ancora
oggi
i
pochi
sopravvissuti
portano
i
segni
delle
malattie
contratte
per
l’esposizione
agli
agenti
contaminanti. Una tragedia senza fine.
Oggi
a
distanza
di
trentasei
anni,
ancora
dobbiamo
fare
i
conti
con
un
territorio
radioattivo,
interdetto
ad
ogni
utilizzo
umano
e
pericoloso
per
la
presenza
dei
vecchi
reattori
che
dormono
letali
sotto
una
coltre
di
cemento
armato
che
i
recenti
bombardamenti
dei missili russi potrebbero tristemente risvegliare.
Nell’autunno
dell’ottantasette
gli
italiani,
ancora
sbigottiti
dagli
accadimenti
di
Cernobil,
con
un
referendum
si
espressero
a
maggioranza
su
tre
quesiti
che
di
fatto
ebbero
l’esito
di
far
chiudere
le
obsolete
centrali
nucleari
esistenti
nel
nostro
paese
e
bloccare
quelle
in
via
di
costruzione.
Inoltre
nel
duemilaundici
una
ulteriore
consultazione
abrogò
l’utilizzo
del
nucleare
in
Italia.
Purtroppo
però
molti
altri
stati
non
seguirono
l’esempio
italiano
ma
anzi
diedero
il
via
allo
sfruttamento
su
larga
scala
dell’energia
nucleare
con
la
costruzione
di
centrali
cosiddette
sicure
diffuse
oramai
in
tutto
il
mondo.
Esemplare
la
recente
inaugurazione
di
un impianto in Finlandia.
Personalmente
ritengo
che
fino
a
quando
non
mi
diranno
come
possiamo
risolvere
il
problema
dello
smaltimento
delle
scorie
radioattive
prodotte
dalle
centrali
nucleari,
senza
che
queste
vengano
sepolte
in
fondo
agli
oceani,
non
si
dovrebbe
neppure
mettere
in
conto
di
discutere
sulla
sicurezza
degli
impianti
di
ultima
generazione.
Facciamo
allora
su
questo
tema
una
seria
ricerca
tecnologica
senza
propagandare
facili
enunciati
ingannevoli.
Nel
frattempo
lo
sfruttamento
delle
risorse
naturali
si
è
fatto
via
via
sempre
più
esasperato
creando
oggi
un
mercato
globale
dell’energia
che
determina
forti
tensioni
tra
le
diverse
potenze
mondiali
detentrici
di
gas
naturale,
petrolio
e
centrali
atomiche
di
vecchia e nuova generazione.
Le
spietate
leggi
che
guidano
questa
macchina
infernale
non
sono
democratiche
anche
perché
i
maggiori
produttori
di
energia
sono
nelle
mani
di
paesi
a
regime
dittatoriale
che
non
promuovono
certo
il
benessere
comune
ma
solo
l’accaparramento
economico
e
monetario
lasciato
spesso
nelle
mani di una ristretta e rapace oligarchia nazionalista.
Si
forma
così
di
conseguenza
un
sistema
di
approvvigionamento
di
risorse
legato
a
regole
di
opportunità
e
di
maggior
risparmio
economico
che
non
tengono
conto
che
per
essere
attuati
devono
passare
necessariamente
attraverso
la
costruzione
di
impianti
e
tecnologie
sempre
più
costosi,
ingombranti
e
insostenibili
da
un
punto di vista ecologico.
Nella
realtà
è
come
se
viaggiassimo
distratti
e
inconsapevoli
su
un
binario
morto
che
prima
o
poi
rivelerà
il
suo
percorso
e
la
sua
tragica mancanza di uscite di salvezza possibili e sicure.
Altro
che
PNRR,
siamo
paurosamente
vicini
al
disastro
ambientale.
Ancora
aprile,
ancora
dolce
dormire,
ma
oggi
non
posso
più
fingere
di
non
vedere
o
di
non
volermi
svegliare.
Le
immagini
che
osservo
da
due
mesi
in
internet
e
in
televisione
non
mi
lasciano
scampo.
Non
c’è
più
alibi
plausibile.
La
guerra
in
Ucraina
causata
da
una
drammatica
aggressione
voluta
da
un
solo
uomo
fuori
controllo mi ha risvegliato di soprassalto.
L’Europa
intera
ha
dovuto
prendere
atto
che
non
poteva
più
voltarsi
da
un’altra
parte,
ignorando
una
guerra
oramai
così
vicina,
portatrice
di
pericoli
incombenti
accompagnata
da
volgari
minacce e discorsi deliranti.
Una
guerra
devastante
fatta
di
bombe
e
di
missili
micidiali
che
colpiscono
le
città
ucraine
e
la
popolazione
inerme
e
disperata.
In
fuga.
Ma come abbiamo potuto arrivare fin qui?
Come
si
sono
formate
le
premesse
per
questa
situazione
senza
ragionevoli vie di uscita?
Forse
siamo
tutti
responsabili.
Più
verosimilmente
le
miopi
regole
della
politica
economica
europea
hanno
creato
quei
presupposti
che
hanno
portato
i
paesi
membri
a
dipendere
sempre
di
più
dal
petrolio
dei
paesi
arabi,
molto
inquinante
e
costoso
e
dal
gas
russo,
molto
meno
costoso
e
meno
inquinante
e
per
questo
apparentemente
più
conveniente
per
le
strategie
commerciali
che
ci
guidano.
Ci
eravamo
cullati
nell’idea
che
la
sudditanza
energetica
che
si
stava
creando
in
cambio
dell’esportazione
della
nostra
tecnologia
fosse
in
perfetto
equilibrio
e
che
potesse
non
finire
mai.
Ci
siamo
addormentati
all’ombra
di
un
falso
benessere
che
ora
la
guerra
ha
travolto
come
uno
spaventoso
temporale
primaverile.
Ci
sentiamo
ora
minacciati
di
morte
e
economicamente
in
sofferenza,
laddove
ieri
tutto
sembrava
calmo e sotto controllo.
Eppure
la
sveglia
era
suonata
più
volte.
Prima
con
l’annessione
della
Crimea
alla
Russia
nel
duemilaquattordici
e
immediatamente
a
seguire
con
l’autoproclamazione
di
autonomia
da
parte
degli
abitanti
filorussi
nei
territori
del
Donbass,
in
Ucraina
orientale.
Come
non
vedere
in
questi
segnali
forti
le
avvisaglie
di
un
imperialismo
che,
umiliato
e
represso
dalla
caduta
dell’impero
sovietico
nell’ottantanove,
si
stava
risvegliando.
Come
non
capire
che
l’equilibrio
geopolitico
precedente
costruito
nell’est
europeo
si
stava
disgregando.
Forse
lo
hanno
visto
bene
i
costruttori
ed
i
commercianti
di
armi
sempre
a
caccia
di
occasioni
per
offrire
a
caro
prezzo
i
loro
armamenti
di
morte.
Il
mondo
è
pieno
di
conflitti
armati
scoppiati
per
ragioni
di
natura
economica,
ideologica,
religiosa
e
sociale
che
i
mercanti
di
armi
alimentano
e
vivificano
nascondendosi
tra
le pieghe di un mondo malato e diviso.
Non
ci
resta
quindi
altra
soluzione
che
deporre
le
armi,
prima
che
sia
davvero
troppo
tardi
e
che
la
convivenza
tra
i
popoli
sia
davvero
troppo
compromessa.
Certo
fermare
la
guerra
è
molto
difficile
ma
è
l’unica
strada
ancora
percorribile.
Allentare
la
tensione
sembra
in
questi
giorni
una
folle
utopia
ma
al
di
là
di
facili
e
sterili
affermazioni
di
comodo
è
necessario
costruire
la
pace.
Siamo
caduti
nella
voragine
di
una
guerra
che
non
avrà
nè
vincitori nè vinti e che produrrà solo dolore, distruzioni e morte.
Allora svegliamo la pace.